Ninna nanna (per piccoli criminali)

Riprendiamo, con piacere, le proposte di lettura per gli appuntamenti futuri dei Piccoli Maestri. È il turno di Debora Ferretti che ci presenta Ninna nanna per piccoli criminali di Heather O’Neill.

littlecatsNinna nanna per piccoli criminali ridefinisce i concetti di infanzia, di casa, di prendersi cura, di paternità e maternità. In questo romanzo nulla di ciò che ha a che fare con la famiglia aderisce alla norma: un ragazzo che diventa padre a quindici anni; una madre disturbata che grava senza dignità sul figlio adolescente; una dodicenne che si barcamena tra vagabondaggi, droga e prostituzione; una madre affidataria impietosa e distratta. Qui non sono i grandi a scortare i piccoli nella crescita, qui manca del tutto la separazione tra accudito e accudente, tra chi è responsabile e chi deve imparare a esserlo. Dice bene la protagonista: «Se i miei genitori fossero stati adulti non mi avrebbero chiamata Baby». E infatti in questo racconto di emarginazione sociale e affettiva, manca la linea di demarcazione tra adulti e bambini: ognuno, grande o piccolo, compie il medesimo sforzo di sopravvivenza e rinascita quotidiana. Ecco perché non ci si schiera dalla parte di nessuno, perché sono tutti miserabili e bisognosi allo stesso modo, tutti vittime di sé, degli eventi, delle condizioni, di qualcun altro. Ninna nanna per piccoli criminali è un trattato implacabile sull’influenza dell’ambiente sociale e sulle occasioni che la vita ti toglie già in partenza. È uno scorcio sul degrado e la deviazione, sulla cattiveria e la solitudine del diventare grandi prima del tempo. Ma è anche un’invocazione a chiamarsi fuori da un’esistenza che sembra già scritta, a comandare gli eventi che ci circondano, a fare storia a parte. Una fiaba della crudeltà e della speranza.

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Trovare la porta principale

Diamo il benvenuto a bordo ad Alessandro Bignami, innamorato dei personaggi nati dalla penna di Joan Didion e di tutto il mondo che li circonda.

sshot-scrittoriGli scrittori sono come case, in quel piccolo o grande susseguirsi di stanze c’è tutto il loro mondo, e io ho sempre pensato che per entrare in ognuno di loro, per amarli, bisogna farlo dalla porta principale. E la porta principale è la loro opera più significativa per la stagione della nostra vita in cui la affrontiamo, e quindi può essere diversa per ognuno di noi. Entrare in casa di uno scrittore nel modo sbagliato può essere letale, perché leggere un libro non adatto al momento che stiamo vivendo può portarci ad abbandonare per sempre un autore che invece potrebbe avere tanto da darci.

È quello che ho rischiato succedesse a me con Joan Didion, diversi anni fa: un paio di libri letti, un tiepido apprezzamento e nulla più. Poi, per caso, ho trovato la “mia” porta principale della casa di questa straordinaria scrittrice, Bei tempi andati, il racconto in dieci pagine di cosa significò per lei essere giovani a New York e poi capire, in un lampo e con assoluta certezza, di non esserlo più. Una volta entrato, forte di quella chiave, ho ripreso in mano Diglielo da parte mia, che invece è un romanzo, ed è stato come indossare degli occhiali e vedere limpido ciò che prima mi era apparso confuso: due donne, due grandi personaggi, protagonista e testimone di un viaggio allucinato, descritto con uno stile caldo e distante allo stesso tempo, uno stile inconfondibile, che da qualche parte dentro di me è andato a completare qualcosa. Perché, parafrasando la Didion, un libro importante, letto nel momento giusto, è come una porta girevole: si entra in un modo e si esce in un altro, altrove, cambiati per sempre.

Fuga senza fine

Fuga senza fine di Joseph Roth è il libro che Giorgio Fontana ha deciso di proporre per i Piccoli Maestri. Ringraziandolo nuovamente per l’entusiasmo con cui ha abbracciato il progetto, leggiamo ora alcune delle ragioni che hanno ispirato la sua scelta.

fugarothUno degli aspetti che mi ha sempre attratto di Fuga senza fine è la sua paradossale attualità. Certo, si rende sempre cattivo servizio a un libro quando lo si giudica in base agli umori del tempo, alla sua capacità di intercettarli anche se sullo sfondo di un’altra epoca. Ma leggendo le avventure di Franz Tunda — questa incarnazione dello spaesamento moderno, quest’uomo che ha cambiato due volte nome, che è stato soldato dell’Impero austriaco, rivoluzionario ardente, amante geloso, direttore di un cinema, abitante del Caucaso, disoccupato a Vienna, scrittore a Berlino, girovago senza un soldo a Parigi — leggendo le avventure di Tunda ho sempre provato uno strano senso di immedesimazione. Non perché abbia vissuto una vita tanto avventurosa, ovviamente: ma perché la sua “fuga senza fine” mi ricorda, almeno in spirito, il senso di inquietudine che accompagna questi anni. Quel desiderio sfrenato di libertà. Quel sentirsi a volte senza scopo, senza un fattore unificante: migliaia di esperienze diverse, e nessuno sfondo entro cui raccoglierle. Quella percezione di sé stessi come stranieri; l’eccitazione febbrile che a volte tale condizione regala — sfidare il mondo senza compromessi, disperdersi, raccogliere tutto il proprio coraggio — e il terrore, infine, di ritrovarsi come Tunda la mattina del 27 agosto 1926: “superfluo come nessun altro al mondo”.

Fanfan

Diamo il benvenuto a bordo alla scrittrice Debora Ferretti, che ringraziamo per l’entusiasmo con cui ha abbracciato il progetto Piccoli Maestri. In attesa del primo incontro con gli studenti, Debora ci presenta una delle sue proposte di lettura: Fanfan di Alexandre Jardin.

FanfanFanfan è il romanzo dell’adolescenza. Non perché i protagonisti sono poco più che adolescenti, ma perché celebra alcune tra le pulsioni più determinanti in questa età della vita: l’amore, la  carnalità e l’affrancarsi dai genitori, dalla loro condotta e dalla loro morale.
Alexandre Jardin scrive Fanfan – il suo terzo romanzo – a ventiquattro anni. Il protagonista, che si chiama come lui e ha più o meno la sua stessa età, è un discendente di Robinson Crusoé dal quale ha ereditato determinazione e forza di volontà. Proprio come il naufrago ha resistito alle forze della natura, Alexandre sceglie di resistere a un aspetto potente della natura umana: la passione fisica, il richiamo dei sensi. Perché un ventenne degli anni ’90 si mette in testa un’idea del genere?

Perché “a nessun costo vuole farsi guidare dai cromosomi dei suoi genitori”. Loro, i grandi, lo hanno disilluso e mortificato quando aveva tredici anni, gli hanno sbattuto in faccia la debolezza dei sentimenti rispetto allo strapotere della sensualità. E lui ha reagito. In maniera del tutto anacronistica Alexandre rifiuta in consumismo affettivo e si propone come paladino dell’amore romantico, l’amore che sa aspettare, che si nutre di attesa per crescere e durare. In Jardin il tema dell’usura dei sentimenti è nodale. Fanfan è la lotta tra desiderio estemporaneo e desiderio di infinito, tra la veemenza del subito e la bellezza della prospettiva. Nella società che ha perso di vista il lungo termine, dove si ragiona per istanti e il disfacimento delle relazioni è diventato prassi, il romanzo di Jardin è un’occasione, un vero e proprio manifesto contro il vizio al consumo e l’assuefazione alla perdita.

Je me souviens (Mi ricordo)

Diamo il benvenuto al 2014 presentando una delle proposte di lettura dei Piccoli Maestri per l’anno nuovo. Ne approfittiamo per accogliere ufficialmente a bordo Matteo B Bianchi e ringraziarlo per l’entusiasmo con cui si è avvicinato al progetto. Sarà un compagno di squadra prezioso per il gruppo milanese.

perecGeorges Perec è stato uno dei più geniali e innovativi scrittori francesi del secolo scorso. Romanziere, saggista, regista, grande appassionato di enigmistica, nei suoi libri ha voluto sperimentare con i generi e giocare con la lingua, producendo testi sorprendenti e originalissimi. Fondatore del gruppo letterario OULIPO insieme a Italo Calvino e Raymond Queneau, ha ottenuto alcuni dei più grandi riconoscimenti letterari in patria, fra i quali il Prix Médicis nel 1978. Dopo la sua morte precoce, avvenuta all’età di soli 46 anni, gli sono state attribuite varie onorificenze, la più curiosa di tutti è quella di aver dato il suo nome a un asteroide di recente scoperta. Un omaggio così bizzarro che è facile ipotizzare che lui stesso l’avrebbe gradito molto. Continua a leggere

Conrad, intervista impossibile

secretIl compagno segreto di Joseph Conrad è stato il secondo libro letto dai Piccoli Maestri, il 21 novembre del 2011 presso il centro di accoglienza giovanile Matemù.  A distanza di due anni, Lorenzo Pavolini sarà felice di riproporlo, mercoledì 4 dicembre,agli studenti del Liceo Anco Marzio di Ostia. In vista di questo appuntamento, Lorenzo Pavolini ci ha gentilmente concesso di riportare un suo testo, pubblicato in Ti vengo a cercare (Einaudi 2011). Si tratta di un’intervista impossibile a Joseph Conrad. Il compagno segreto, il racconto di cui Lorenzo si accinge a parlare, è al centro delle domande che il bizzarro intervistatore pone a Joseph Conrad. Ringraziamo di cuore Lorenzo Pavolini per questo regalo.

Perché Conrad
Tutte le volte che vedo passare una nave, aliscafo o petroliera, persino i vaporetti in laguna, anche quando una barca di pescatori rientra in porto inseguita dai gabbiani, penso a Joseph Conrad che sta nascosto da qualche parte nello scafo, più esattamente cerco, in un piccolo oblò, di scorgere il suo profilo dubbioso, il suo fragile coraggio. E penso che anche lui ci veda lì a terra. E anzi sospetti con orrore che stiamo per gettarci in acqua per raggiungerlo a nuoto.

Lorenzo Pavolini incontra Joseph Conrad
C – Joseph Conrad
I – intervistatore

C – É notte. Intorno a noi è calato il buio… un buio speciale… di quelle oscurità che scendono dopo il crepuscolo su una terra sconosciuta… in un angolo di mare straniero per sempre… E io che parlo sarei Joseph Conrad. Intanto incedo sul ponte … Ho assunto il mio primo comando oggi stesso, come al solito… Lasciato il porto fluviale di Ho Trubang Feng Yo To Ba eccetera eccetera… Ridisceso la corrente fino alla foce. La bonaccia ora costringe l’imbarcazione (sottovoce) – ci costringe – alla fonda. Nella quiete di vento e sotto un cielo velato di umidità: non vedo nessuno, niente.  Mi sento estraneo alla barca, all’equipaggio… e in fondo anche a me stesso. Capita quasi sempre – dicevo: come al solito – quando sto per cominciare… un racconto.
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A Torino con il gatto Venerdì

Giovedì 7 febbraio, Serena Gaudino racconterà alle classi quarte della scuola Gabelli di Torino la storia de Il gatto Venerdì di Jutta Richter. Siamo felici di tornare nel capoluogo piemontese, dove tra l’altro è cominciata quest’anno la nostra avventura. Per l’occasione Serena ci presenta il libro di cui parlerà ai bambini della Gabelli. Buona lettura.

La storia del gatto Venerdì è una storia sbilenca: un gatto che parla, una bambina che non sa contare, un bambino col nome buffo, un reverendo con gli occhi grandi e cattivi, un papà e una mamma distanti. Non fisicamente lontani, fridaycatma troppo reali. Troppo fisici. Mentre Christine ha bisogno di sciogliersi ancora in una realtà che non capisce tanto. In una realtà che va a cavallo del sogno. Che si sposta a secondo di quanto e come si sposta lei.

La spiritualità di Jutta Richter, una delle più apprezzate scrittrici per bambini in Germania, è un tripudio di verità. La sua scrittura anche lì dove accenna a Adamo e a Eva, al serpente, alla mela, alla storia del peccato originale, è una scrittura che apre gli occhi che chiede ai bambini di svegliarsi, di credere a sé più che a quel che gli viene detto. E risulta sghemba, sbilenca, appunto. Sbilanciata. Ma deliziosamente ironica e profonda. Sul bordo dell’incoerenza la Richter fa galleggiare le parole e le salda insieme, come pietruzze di un mosaico. Continua a leggere

Canto di Natale

Abbiamo deciso di affiancare a ciascuno dei piccoli grandi libri una breve presentazione  che, speriamo, potrà essere d’aiuto ai docenti nella scelta dei testi da proporre ai ragazzi. Non si tratta di una scheda di lettura, né di un riassunto della trama. Forse, piuttosto, il motivo per cui siamo convinti che leggere quel libro sia cosa buona e giusta. Il primo suggerimento che pubblichiamo ha come oggetto Canto di Natale di Charles Dickens. Ce ne parla Federico Platania.

KONICA MINOLTA DIGITAL CAMERASciocchezze! Nient’altro che sciocchezze! Cosa? I buoni sentimenti, tanto per cominciare. E la solidarietà verso chi ha bisogno. E l’amore, poi. Ecco, l’amore è la sciocchezza più grande!  La pensate anche voi così? Allora sappiate che stanotte tre fantasmi vi faranno visita per farvi cambiare idea. E se non ci riescono loro verrò io di persona, armato di Canto di Natale di Charles Dickens.

È facile liquidare quest’opera come una favola moraleggiante. Ma ci deve essere qualcosa, oltre alla retorica dei buoni sentimenti, se a 170 anni dalla prima edizione Canto di Natale continua a ispirare film, musical e adattamenti di ogni genere. Questo romanzo breve di Dickens, considerato uno dei massimi capolavori dello scrittore inglese, fu un best seller fin dalla sua prima edizione del 1843, nonostante il prezzo piuttosto alto per l’epoca dovuto alla scelta di rilegare le copie con una copertina di velluto rosso dai bordi dorati.
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